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UN UOVO CHE HA ROTTO IL MONDO

Essendo cresciuto in Cina, dove le forniture alimentari rimangono contaminate, come l’aria inquinata di Pechino in inverno, pensai che sarebbe stato bello concedermi una pausa: vivere a Berlino per un po’ di anni e godermi l’ampia scelta di cibi sani, protetti dalle rigide leggi sulla sicurezza di cui i miei amici tedeschi vanno molto fieri.
Dovetti ricredermi nel 2018, quando la Germania e altri paesi d’Europa furono colpiti dallo scandalo delle uova. I clienti dei supermercati vicino casa mia si mettevano in fila per restituire le uova in cui erano stati riscontrati livelli eccessivi di fipronil: diverse aziende avicole olandesi erano sotto accusa per avere usato un agente anti-pidocchi contenente fipronil come additivo. L’UE ne vieta l’uso su animali destinati al consumo umano a causa degli effetti dannosi sulla salute umana. Nel giro di due mesi, lo scandalo fipronil si diffuse in quaranta paesi, arrivando fino a Hong Kong, a Taiwan e nella Corea del Sud. Nel frattempo, gli investigatori rintracciarono la contaminazione in un’azienda belga che, a sua volta, l’aveva attribuita a un produttore chimico in Romania, un paese tradizionalmente agricolo e un grande produttore di pesticidi durante l’era sovietica.
Nel 2013 l’Unione Europea aveva imposto restrizioni sul fipronil a causa del suo effetto negativo sulle api da miele. La BASF – una società chimica tedesca che produce fipronil in paesi come la Cina e il Brasile e poi lo vende in Romania, dove lo sviluppo economico ora supera le normative ambientali – si è opposta al divieto dell’UE. Il governo rumeno si è schierato dalla parte della BASF. Di conseguenza, il controverso pesticida è rimasto disponibile per le imprese rumene che sono state in grado – certamente contro la regolamentazione – di farlo circolare nelle forniture alimentari tedesche.
Lo scandalo delle uova mette in risalto una situazione ironica simile a quella delle vendite internazionali di armi. Le aziende occidentali, nella loro incessante ricerca della quota di mercato, si rivolgono ai paesi in via di sviluppo in cui la domanda è alta e mancano le normative ambientali e di sicurezza alimentare. In molti casi, i pesticidi altamente pericolosi, il cui uso nei paesi industrializzati non è consentito, vengono esportati lì. Tale dumping ha contribuito alla grave contaminazione di alimenti, del suolo e dell’acqua nelle regioni sottosviluppate e quasi prive di regolamenti ambientali. Ma, in un’economia globale con un sistema alimentare globale, queste esportazioni non rimangono ferme. Spesso questi paesi “restituiscono il favore” esportando pesticidi – e prodotti agricoli contaminati da additivi, a volte attraverso una falsa etichettatura – in Occidente, causando problemi alla salute e danni alla catena alimentare.
La World Library of Toxicity ha citato i registri doganali statunitensi secondo cui, tra il 2001 e il 2003, gli Stati Uniti hanno esportato circa 1,7 miliardi di libbre di prodotti antiparassitari, 32 tonnellate all’ora. Naturalmente, la maggior parte delle esportazioni è arrivata nei paesi in via di sviluppo. Uno studio dell’International Journal of Occupational and Environmental Health sottolinea anche che 27 milioni di sterline di questi pesticidi esportati sono stati vietati negli Stati Uniti ma, secondo una norma EPA, i pesticidi che non sono approvati – o registrati – per l’uso negli Stati Uniti possono essere fabbricati negli Stati Uniti e esportati, a condizione che gli esportatori dimostrino per iscritto che l’acquirente straniero è a conoscenza dei loro pericoli.
A partire dalla metà degli anni Novanta, le grandi aziende agrochimiche, che stanno affrontando il calo dei margini di profitto e le leggi ambientali più severe negli Stati Uniti e nell’UE, si riversano in Cina per approfittare del gigantesco mercato, dei costi di produzione economici e delle normative ambientali lassiste.
All’inizio del 2000, le regioni costiere della Cina erano popolate da jointventure straniere che sfornavano pesticidi sia per uso domestico sia per esportazione. L’afflusso di capitali e tecnologie straniere ha reso la Cina uno dei maggiori produttori e utilizzatori di pesticidi. Negli anni Ottanta, la Cina produceva solo 40.000 tonnellate di pesticidi. Circa tre decenni dopo, nel 2015, il paese aveva circa 1.800 produttori di pesticidi registrati che producevano 3,7 milioni di tonnellate di pesticidi e vendevano 3,4 milioni di tonnellate di principi attivi da esportare in Occidente.
Ogni anno, gli agricoltori cinesi usano circa 1,7 milioni di tonnellate di pesticidi per il trattamento delle colture. La produzione commerciale in serie di pesticidi ha portato a un uso diffuso ed eccessivo in Cina.
Attualmente, gli agricoltori cinesi applicano tre volte più pesticidi per acro rispetto alla media globale. Un rapporto di Green Peace indica che il 70 per cento dei pesticidi finisce col filtrare nel suolo o nell’acqua. Un recente sondaggio nazionale cinese ha rilevato che quasi un quinto dei seminativi è inquinato.
Questa terribile situazione ha spinto la leadership cinese ad adottare misure più severe, che hanno portato al divieto di molti pesticidi altamente tossici. Nel caso del fipronil, dal 2003 la BASF deteneva i diritti di brevetto per la produzione e la vendita di prodotti a base di fipronil in Cina. Dopo la scadenza del brevetto nel 2008, molte aziende cinesi, che non avevano licenze, iniziarono a produrre fipronil. Nel 2009, a causa di problemi di tossicità sul riso, il Ministero dell’Agricoltura cinese ne ha vietato la registrazione, la vendita e l’utilizzo sulla maggior parte delle colture in Cina. Ma alcuni produttori di fipronil hanno eluso il divieto attraverso cambi di nome e vendite sul mercato nero e persino in piccoli negozi non regolamentati.
Altri sono entrati nel segmento della salute degli animali e hanno seguito gli esempi delle multinazionali esportando il fipronil vietato in paesi dell’Africa, dell’America Latina o dell’Europa orientale.
Ci si potrebbe chiedere se il fipronil che ha contaminato le uova in Europa provenisse dalla Cina. Sappiamo che ogni anno le aziende cinesi sponsorizzano un grande evento chiamato AgrochemBIZ a Bucarest per attirare potenziali acquirenti di pesticidi made in China. Allo stesso tempo, in qualità di grande esportatore di alimenti, la Cina fornisce al mondo alimenti trasformati, pesce e verdure fresche come aglio, funghi e soia. Negli Stati Uniti, l’80 per cento della tilapia e la metà del merluzzo venduto provengono da allevamenti ittici in Cina. Sulla base di un accordo raggiunto dall’amministrazione Trump con la Cina, gli Stati Uniti importerebbero pollo cinese in modo che i produttori di carne bovina statunitensi possano accedere ai quasi 1,4 miliardi di consumatori cinesi.
È facile per l’Occidente incolpare la Cina e le altre nazioni in via di sviluppo per il loro dilagante uso improprio di pesticidi e additivi nocivi negli alimenti esportati, ma si trascura il fatto che la maggior parte dei pesticidi e degli additivi di marca sono stati inventati e prodotti nelle nazioni industrializzate. L’avidità e l’irresponsabile proliferazione di pesticidi vietati in tutto il mondo e la quasi indifferenza dei cittadini e dei governi occidentali hanno dimostrato un detto popolare nella mia città natale: “Chi pianta meloni raccoglie meloni, chi semina fagioli raccoglie fagioli”.
Scandali come quello delle uova in Europa servono a ricordare costantemente che, senza una battaglia globale e coordinata per l’emanazione di leggi ambientali uniformi e di standard di sicurezza alimentare, stiamo scivolando in un lento suicidio collettivo. Per mantenere sicuro il nostro cibo, i governi devono regolamentare la promozione e la vendita di pesticidi vietati come avviene per le armi. L’Occidente non può limitarsi alla regolamentazione interna e ignorare l’abuso di pesticidi nei paesi in via di sviluppo. È nel nostro stesso interesse fare pressione sui loro governi affinché impongano severi standard ambientali e di sicurezza alimentare nei rapporti commerciali, perché le conseguenze della loro incapacità di farlo non ricadano su di noi.
Infine, è urgente per noi sensibilizzare e contribuire allo smaltimento di sostanze chimiche obsolete: mezzo milione di tonnellate di pesticidi obsoleti sono attualmente sparsi in tutti i paesi in via di sviluppo.
Questi prodotti chimici tossici, spesso immagazzinati all’aperto in contenitori non ermetici, colano e s’infiltrano nel terreno e nell’acqua.
Ci sono ancora agricoltori che li usano illegalmente perché sono economici, ma possiamo stare certi che troveremo in qualche altro paese il cibo prodotto lì.
Purtroppo, ho imparato che, per quanto cerchi di stare lontano dalla mia città natale, Pechino, non riesco a proteggermi dalle forniture alimentari contaminate a livello globale.

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IL PIÙ RUMOROSO MARCHIO MADE IN CHINA

Già tredici anni fa, nel libro La sicurezza alimentare in Cina (Spirali), lei documentava la disastrosa situazione alimentare nel suo paese e il pericolo connesso alle esportazioni di prodotti cinesi.
In questi anni la situazione è migliorata o peggiorata? Certamente la situazione è più seria.
La polmonite di Wuhan, che sta attualmente mettendo in pericolo il mondo e sta facendo dell’Italia l’area colpita più pesantemente in Europa, è stata determinata da fattori precisi: l’abitudine di mangiare pipistrelli e pangolini.
Penso di essere davvero uccello del malaugurio. Già nel mio intervento alla Fiera del libro di Francoforte dell’ottobre 2009, ricordavo ai decision makers di tutto il mondo che se lo status quo della sicurezza alimentare in Cina non avesse ottenuto l’attenzione e la vigilanza della comunità internazionale, con l’incalzare del ritmo della globalizzazione, si sarebbero generati enormi problemi di sicurezza alimentare in tutto il mondo: quand’anche tutti i paesi del pianeta decidessero di vietare l’importazione di cibo cinese, se la qualità alimentare cinese non dovesse migliorare, un virus come la Sars, causato dagli alimenti, infetterebbe inevitabilmente anche gli esseri umani. Nell’era in cui i flussi di persone hanno una frequenza e una convenienza economica senza precedenti, quale paese o individuo potrebbe essere al sicuro? Dimenticare e sottovalutare le crisi è un tratto caratteristico dell’uomo, tuttavia, il mondo ha sempre pensato che i problemi legati a virus causati da alimenti tossici o da cattive abitudini alimentari dei cinesi, come se la Sars e il nuovo Coronavirus non lo riguardasse, come se fossero lontani. In realtà, già circa vent’anni fa, dicevo che si trattava di un problema globale sempre più urgente. Per esempio, l’occidente potrà anche rifiutare d’importare qualsiasi cibo dalla Cina, ma, in circostanze normali, non può limitare il flusso naturale del popolo cinese. Con lo sviluppo della globalizzazione, gli spostamenti delle persone diventano sempre più economici e veloci: in un solo giorno le persone possono raggiungere da Pechino le principali città del mondo.
Se i cinesi sviluppano un virus come il Covid-19, possono facilmente infettare il mondo intero in un batter d’occhio.
Dobbiamo tenere presente che oggi il mondo è sempre più simile a un villaggio.
Se hai il raffreddore in oriente, starnutirai in occidente! E, ogni volta che gli esseri umani hanno affrontato un nuovo virus, le tragiche conseguenze hanno di gran lunga superato quelle della guerra rispetto alla quale invece siamo tanto vigili.
Da allora, in diverse occasioni, ho ripetuto il mio invito a porre l’attenzione su questo tema, ma in effetti nessun paese o istituzione l’ha fatto.
Purtroppo, la mia previsione si avvera di nuovo! Quali sono le abitudini alimentari e igieniche cinesi che più possono causare malattie? Non ho scritto il mio libro per esporre il problema specifico di un paese o di alcuni ristoranti, ma per rivelare i problemi di sicurezza alimentare che il mondo intero deve affrontare: mi riferisco precisamente al disastro causato dalla globalizzazione.
Gli additivi hanno cambiato le abitudini alimentari e la composizione degli alimenti: questioni fondamentali che sono sempre state sottovalutate.
Gli additivi hanno un processo di produzione semplice ma altamente inquinante e generano bassi profitti, quindi i paesi sviluppati dell’occidente ne hanno abbandonato la produzione, con il risultato che la Cina ne è oggi il principale paese di trasformazione e produzione e, di conseguenza, il più grande esportatore. Questi additivi sono essenziali per le necessità quotidiane nelle società occidentali. Si tratta di joint-venture che producono additivi alimentari poi venduti e spediti in occidente senza controlli, sono “certificati” e quindi non soggetti a ispezione, e costituiscono enormi falle nella sicurezza alimentare occidentale. A metà luglio 2005, per esempio, la Cina ha condotto un controllo di routine sulla sicurezza dei produttori di additivi alimentari di piccole e medie dimensioni, questo ha comportato un aumento del 28 per cento delle importazioni di vitamina C a Londra lo stesso giorno. Nello stesso anno, l’esportazione cinese di alimenti per cani e gatti ha causato più di 5.000 avvelenamenti negli animali da compagnia negli Stati Uniti, nonché la contaminazione di dentifricio e frutti di mare risultati velenosi. È questa la principale fonte di contaminazione del cibo globale! Ritiene che queste abitudini possano essere state la causa del Covid-19? “Il cane ricorda il cibo, ma non le botte”: è un modo di dire che spesso usiamo per ridere dei cani, ma noi esseri umani, che ci riteniamo i migliori del creato, in modo piuttosto presuntuoso, quando si tratta di valutare la qualità del nostro cibo mangiamo davvero meglio di un cane? Questo è anche il motivo principale della mia disperazione.
Nei primi vent’anni del XXI secolo, dopo l’epidemia di epatite A di Shanghai del 1988, ci furono tre grandi epidemie in tutto il mondo, due delle quali in Cina. Il comune denominatore era la cattiva abitudine di mangiare animali selvatici. Vorrei sottolineare di nuovo che l’epidemia di Shanghai nel 1988 è stata conseguenza precisa del consumo di molluschi (Arcidae), ma quella di Sars a Guangzhou nel 2003 è stata più casuale. C’è un modo di dire per descrivere le abitudini alimentari dei cantonesi: “Mangiano tutto quello che ha quattro zampe tranne i tavoli e tutto ciò che vola tranne gli aeroplani”, sono golosi di ogni animale raro e strano, frutti di mare sanguinanti e feroci...
Il virus della Sars fu trasmesso dallo zibetto mascherato, uno degli animali selvatici che i cantonesi amano di più! Ora, la causa principale della polmonite di Wuhan è stata determinata dall’abitudine di mangiare pipistrelli e pangolini.
La differenza oggi è che la portata della trasmissione del virus sta diventando sempre più ampia, e anche il numero di vittime e perdite economiche dirette è aumentato drammaticamente.
Nel 1988, la portata dell’infezione era limitata alla sola area di Shanghai; e il numero di persone coinvolte era di oltre 400.000; le perdite sul piano economico ammontarono a oltre 30 miliardi di yuan; con la Sars, nel 2003, furono 29 i paesi coinvolti, con 90 milioni di persone infette, oltre 800 morti, e le perdite economiche dirette nella sola Asia superarono i 40 miliardi di dollari USA. A partire dalla mia revisione di questo articolo alle 6.30 dell’1 marzo 2020, la nuova polmonite da Coronavirus a Wuhan ha prodotto 75.592 casi e 2124 decessi in tutto il mondo, mentre in Cina ha provocato 74638 casi, di cui 11.977 di malattia grave e 2117 decessi.
Dato che il campionamento dei dati statistici da parte del governo cinese non è sempre trasparente, e che la Cina è solita ingannare e mentire al mondo, la comunità internazionale ritiene generalmente che una parte dei dati relativi alla Cina sia stata notevolmente ridotta. In questo modo l’epidemia si è diffusa per il mondo, avvolta da una grande nebbia e ammantata di paura e terrore, così il mondo intero è oggi come un aereo di linea che s’inoltra in una fitta nebbia, con tuoni, fulmini, turbolenze e terrore, senza poter vedere la luce. Questa volta basta una piccola mascherina per rendere risibile agli occhi del mondo il Made in China e la Nuova via della seta. In tutto il mondo abbiamo visto i cinesi che compravano mascherine. In Cina, nella città di Xi’an, normalmente una mascherina si poteva comprare per un yuan; durante il picco del Covid-19, un amico ha dovuto fare ore di coda, rischiando di venire contagiato, prima di riuscire a comperarne due, e il costo era aumentato a 28 yuan l’una.
Il Covid-19 è oggi il tema all’ordine del giorno e la fonte di rischio maggiore per la salute mondiale; per usare le parole dell’artista Ai Weiwei, il nuovo Coronavirus è “il più rumoroso marchio made in China”.
Ci sono responsabilità amministrative e politiche nella gestione del Covid-19 nelle città e nei villaggi cinesi? Sono due le ragioni importanti dello scoppio della polmonite a Wuhan.
Innanzitutto, il crollo delle strutture sanitarie pubbliche. Già all’inizio di febbraio, ho lanciato un appello: il governo centrale non può nei momenti di calma fare la parte del totalitarista e, quando invece serve che sia fermo nel prendere decisioni, esitare rimpallando le responsabilità senza assumere il controllo! I pazienti a Wuhan andavano distribuiti in tutte le province e città il più presto possibile, sfruttando tutti gli ospedali per le malattie infettive e il personale medico presente in ogni provincia e città. Occorreva sfruttare le risorse mediche di tutte le regioni e trasportare i pazienti separatamente, adottando cure mediche sul posto in modo da arrecare il minimo danno.
L’unico caso confermato in Tibet è arrivato a Lhasa da solo dalla provincia dello Hubei, prestando attenzione all’autoisolamento, senza infettare nessuno.
Questo dimostra che tale modalità era attuabile.
In secondo luogo, il crollo del sistema amministrativo. I frequenti attacchi di Xi Jinping ai funzionari locali, al fine d’impadronirsi del potere, hanno rallentato questi funzionari tenendoli in sospeso e hanno generato inefficienze nel sistema locale, portandolo al limite della sospensione: una parte dei funzionari in tutto il paese non ha agito, aspettando le mosse di Xi. Non esiste fiducia reciproca tra superiori e subordinati, e i funzionari non si assumono responsabilità: in un clima in cui nessuno si assume responsabilità e tutti vogliono intestarsi i successi, in caso di emergenze, il sistema di organizzazione amministrativa e sociale crolla immediatamente. Questo stato di cose è molto simile al dilemma amministrativo affrontato da Chongzhen, l’ultimo imperatore della dinastia Ming.
Questa epidemia comporta un problema politico per Xi Jinping? Senza ombra di dubbio. In questa epidemia, la sua indecisione e i suoi ripetuti errori fanno crollare l’immagine dell’“uomo politico forte” che egli ha creato nel corso degli anni, fornendo ai suoi potenziali oppositori politici la possibilità e l’opportunità di opporsi a lui.
Quali misure politiche attuerà Xi Jinping per rovesciare la situazione a suo vantaggio? Continuerà con il terrore e le menzogne? Bugie e terrore sono le due armi magiche utilizzate da tutti i despoti e i dittatori. Fin dal principio dell’epidemia, i giornalisti che hanno avuto il coraggio di parlare con medici e cittadini sono stati arrestati per creare terrore, e i media sono stati usati per screditarli e per indurre il terrore nella gente. Quando la città era ancora in quarantena, il più alto funzionario di Wuhan ha persino invitato il popolo a ringraziare il Comitato Centrale del Partito e il Segretario Generale Xi! Per concludere, vorrei dire che non ci si può semplicemente aggrappare al concetto egemonico che “la stabilità prevale su tutto”. Si possono utilizzare l’orrore e le menzogne solo temporaneamente per mettere a tacere l’intero paese, ma è difficile far tacere il virus della polmonite di Wuhan, perché non si lascia intimidire dalle pistole, e men che meno comprende la logica delle bugie e delle procedure.
E la polmonite di Wuhan, che sta ancora diffondendosi, potrebbe anche essere un avvertimento di Dio a un’umanità troppo avida e crudele.
È tempo d’interrogarsi, di chiederci che cosa ci abbia portato la globalizzazione.
Altrimenti, la polmonite di Wuhan, il Covid-19, potrebbe essere solo l’inizio...