L’ETÀ, IL FARE, LA CITTÀ
L’esigenza di organizzare il convegno dal titolo Seniores. L’età, il fare, la città (Bologna, 27 settembre 2022) è nata in occasione della cosiddetta “ripresa”, dopo che, per ben due anni, era accaduto qualcosa di mai avvenuto prima: la chiusura e il blocco di interi paesi stretti dalla morsa delle normative per l’emergenza da Covid-19. All’improvviso, nel silenzio di strade e piazze deserte, i telegiornali hanno incominciato a trasmettere immagini di bare in successione, divenendo spettacolo della morte. Nello sconcerto generale per l’inarrestabile infezione planetaria, è accaduto che il presidente di un paese latino abbia giustificato la sfilata di quelle bare con l’elevato numero di anziani in un paese come l’Italia costituito da una popolazione “vecchia”, come la sua storia. Questo presidente ha fatto forse un calcolo facile, sommando la tradizione italiana di arte e d’invenzione al numero di centenari che fioriscono al sole della penisola. Esclusi dalla vita civile perché cagionevoli di salute, i cosiddetti anziani sono stati soverchiati da quella “tutela” della salute che vorrebbe risparmiare la vita, a partire dalla paura della vita.
Nella vita, invece, ciascuna cosa procede dall’ossimoro, dalla questione che non si chiude mai. Quegli anni hanno dato la chance nel nuovo millennio per l’introduzione di un altro tempo e per l’intervento del modo della vita, della sua modernità (dallo stesso etimo di modus), proprio nel momento in cui la vita sembrava confinata nella sua fine. Mai come oggi, per l’Italia e per ciascuno, urge avviare un processo di valorizzazione della vita attenendosi alla memoria, ovvero all’esperienza, attraverso il modo della parola, la testimonianza. In assenza di questo processo la memoria viene convertita nel deposito del già detto e del già fatto, che diventano subito sinonimo di vecchio. Esattamente come avviene per chi dice dell’Italia che “è stato” un grande paese di artisti e scienziati straordinari. Oggi, per l’Italia e per ciascuno, si apre la scommessa di non accettare la dittatura dello standard della storia, intesa come canone passatista, che nega la memoria, nega l’esperienza in atto, l’attuale della testimonianza, riducendo la vita a ricordo da non dimenticare. Questo canone è retto sempre dall’idea di uguale e, pertanto, dal regime della compensazione secondo cui al periodo up ne corrisponderebbe uno down, decadente. Il lockdown avrebbe rappresentato il segno della decadenza prima dell’Italia, poi dell’Europa e, infine, dell’Occidente. Salvo poi constatare come il Covid, nelle misure di contenimento ancora attive a Oriente, sia il “più rumoroso marchio made in China” (come scrive il dissidente cinese Zhou Qing nel n. 88 del 2020 della rivista “La città del secondo rinascimento”).
Nella Grecia antica, la decadenza era misurata dalle tre Parche, che tessevano il filo della vita dell’uomo, il filo delle età funzionali alla contabilità della vita, secondo l’idea di durata. L’età sarebbe intesa così come segno, che spetta a ognuno – ogni uno sistemato nella serie degli uni – in quanto destinato a diventare via via decadente e poi malato. La vecchiaia sarebbe, allora, la malattia dell’età di ognuno. Malattia incurabile perché “tutti gli uomini sono mortali” (Aristotele) ovvero tutti sarebbero accomunati dalla direzione verso lo stesso destino ineluttabile. Quindi, tutti presi nel regime penale e penitenziario, perché la vita deve arrestarsi al capo-linea, con il taglio del filo. Disturba, allora, chi non sta al giogo di questa comunanza ideale, per esempio perché, anziché ricordare i bei tempi della cosiddetta gioventù perduta – degli anni in cui il fare non era espunto dalla vita –, prosegue a intraprendere nuovi progetti e nuovi programmi e non risparmia il sorriso e la testimonianza di ciò che sta facendo. Sempre secondo questa storiella, anche l’Italia sarebbe destinata alla sua fine, come l’Occidente alla “fine della civiltà”, con grande successo di tutti i Caronte che si danno il compito di traghettare, lentamente, alla buona morte, ovvero al risparmio delle risorse della vita o del pianeta, destinati a finire. Per ciascuno – non per ogni-uno che si allinea nella serie degli uni – la partita da giocare, allora, non è quella a scacchi con la morte, come nel film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo, ma è quella che si attiene alla direzione verso la qualità, lungo i dispositivi da instaurare man mano, lungo l’esperienza in atto. In questi dispositivi del fare la testimonianza sfugge all’imperativo di ricordare e a quello di dimenticare, perché la memoria è nell’atto, non è ideale. Soltanto se ideale la memoria si perde, in assenza di fare. In pratica, quel che non si ricorda resta adiacente e occorre il dispositivo della parola, cercando e facendo, perché sia accolto nell’atto, entri nell’esperienza attuale e non sia considerato perduto. Accettare la vita implica attenersi al progetto e al programma che non sono ideali perché procedono secondo occorrenza. Il decadimento si produce per una non accettazione della vita, cioè quando ognuno è preso dalla sua idea di fine del tempo e si rappresenta in base all’età della convenzione, secondo cui ci sarebbe un’età per fare e un’età per consolarsi, per “concedersi” per esempio qualche viaggetto, la compagnia del nipotino o gli hobbies che “prima” il lavoro impediva. L’età della convenzione è l’età del cedimento, non quella della partita per la riuscita. Basta leggere le biografie degli artisti o quelle degli scienziati per constatare che non c’è mai stato per loro un “prima” e un “dopo”, che essi hanno lavorato ciascun giorno della vita.
La vita non vale secondo il canone della durata o quello dello spazio. La vita vale. Ovvero, la direzione costante della vita è verso il suo valore. La costanza è virtù della vita in atto, mentre il cedimento segue l’idea di fine del tempo, di fine della vita. La vita è ineguagliabile e immisurabile, saranno i risultati di quel che si fa l’approdo della vita al valore assoluto, non al valore convenzionale. Come potremo constatare lungo le testimonianze di questo convegno, l’idea di età è una convenzione funzionale a definire il canone della vita, ad assoggettare la vita all’idea di fine del tempo e, a partire da questa idea, a fabbricare soggetti. La partita della vita, invece, non si specifica a partire dalla sua fine, ma per la tensione verso la salute intellettuale di chi non cede, di chi non ha cedimenti nel progetto e nel programma. Allora, il Senior intende che la partita della vita è costante, con il suo fare, con il suo gioco e le sue invenzioni, non aspetta che questa sia garantita, per esempio, dalla moltiplicazione della somministrazione di farmaci per lenire la vecchiaia, la “malattia dell’età”. E oggi sta nascendo una nuova economia, la Silver Economy, costituita da attività economiche rivolte a cittadini dai sessantacinque anni in su, intesi come nuova risorsa per rilanciare le economie di vari paesi, mentre la Commissione Europea estende la definizione di Silver agli over cinquanta. Questa parte della popolazione ha speso 3700 miliardi di euro in beni e servizi, soltanto nel 2015, contribuendo per 4200 miliardi di euro al PIL europeo e sostenendo 78 milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione.
La partita della vita comporta anche che la città sia sempre più la città del tempo, la città del fare, non un luogo-museo in cui fermarsi a contemplarla. La città esige il movimento, questo movimento è anche intellettuale e, come l’acqua, pervade le strade della città, senza più confini, prescrizioni e proibizioni: è la città della salute.
L’età è l’età della vita nel suo narcisismo, è l’età della ginnastica intellettuale della parola in atto. Senza l’idea di fine, le cose si fanno secondo l’occorrenza, senza idealità, senza l’idea di sé e dell’Altro. Allora, ciascuna età è l’età della vita, ciascuna età è costituita dall’accettazione della vita non più presa nelle categorie e nel canone. L’età è l’età della costanza e della tranquillità, dell’accettazione del disturbo, inderogabile e irrimandabile quando è in atto il dispositivo della parola. È l’età della quercia millenaria, che, sul pendio della collina prossima al mare, resistette alla fiumara. La quercia si attiene alla virtù della costanza della vita.