L’ODIO DI SÉ FA IL GIOCO DELLE DITTATURE
Fra i libri di Dario Fertilio che hanno dato lo spunto per il dibattito La comunicazione, le fake news, i totalitarismi – ovvero Le notizie del diavolo. La parabola ignota della disinformazione (Spirali), Il virus totalitario (Rubbettino), Dirsi tutto (Lindau) e Fabbricare le menzogne (Licosia) – mi soffermo in particolare intorno a Il virus totalitario, in cui l’autore analizza la natura del totalitarismo e lo paragona a un virus che, come quello biologico, ha il solo scopo di “prolungare la propria esistenza a spese di tutto il resto” e che adotta gli stessi modi di procedere, tanto nel nazismo quanto nel comunismo, nell’islamismo radicale e nel nazicomunismo post-sovietico. Fertilio compie una traversata essenziale, che prende le distanze da qualsiasi approccio rivelante o smascherante, anzi, nella sua scrittura prevale la narrazione pacata di quanto egli ha acquisito in tanti anni di ricerche e di battaglie culturali per la libertà e per la civiltà della parola. Lontano da ogni intento di “risvegliare le coscienze”, egli dà un contributo all’analisi del termine “consapevolezza” quando nota come: “L’immagine di un mondo perfetto accomuna il terzo grande totalitarismo moderno, l’islamismo, ai due che l’hanno preceduto, il comunismo e il nazionalsocialismo. Si può anzi sostenere che la fonte autentica di ognuno dei tre […] sia utopica e visionaria”. E aggiunge che “per ciascuno dei tre totalitarismi, come per le religioni trascendenti, esiste un libro della conoscenza retta: Il Manifesto, il Mein Kampf e il Pietre miliaridi Sayyid Qutb, l’ideologo egiziano dei Fratelli musulmani per il quale la fede è garanzia dell’essere più interiore del vero credente, il quale è circondato da un mondo di inautenticità e alienazione. Il termine jahiliyya, usato da Maometto per indicare i pagani, si allarga nella filosofia di Qutb a comprendere il caos ottenebrato dei non credenti moderni, e di tutti coloro che nel mondo islamico ‘sono da essi contaminati’, compresi dunque gli interpreti moderati del Corano.
Su questa base avviene l’incrocio, la contaminazione fatale con il totalitarismo rosso. Qutb indica infatti il ruolo di un’avanguardia illuminata e pia, destinata a invertire l’inclinazione del mondo alla deboscia, ristabilendo la purezza perduta. Il che non è nient’altro se non la versione islamista dell’idea marxista-leninista di avanguardia rivoluzionaria il cui ruolo è quello di elevare il livello di consapevolezza dei potenziali seguaci ancora ottenebrati [l’emancipazione del proletariato, delle masse di sfruttati e oppressi]”.
E pensare che, come nota l’autore, c’è voluto l’11 settembre 2001 per accorgersi che l’islamismo costituiva “una realtà nuova, un’esplosione virale che certo si era giovata di molti precedenti storici […], ma attingeva direttamente la sua forza nel qui e ora del mondo islamico, nelle condizioni esistenziali di frustrazione e vergogna vissute da milioni di persone escluse dai benefici della cultura occidentale, nella riattivazione di miti antichi e nella promessa di redenzione e purificazione collettiva riservata ai suoi seguaci”.
In breve, l’Occidente non si era accorto, e forse tuttora continua a non accorgersi, che l’odio di sé, diffuso in ogni ambito della vita civile – lo stesso che ha portato alla cancel culture, al politically correct, al negazionismo e alla dittatura delle minoranze in Europa –, era alimentato dal virus totalitario, che opponeva una realtà pantoclastica, distruttrice, alla realtà che invidiava. Fertilio chiama virus l’agente del totalitarismo, ma potremmo aggiungere che è l’ideologia dell’invidia ciò per cui il fantasma del totalitarismo passa all’azione. La stessa ideologia che troviamo nelle più antiche persecuzioni degli ebrei e nei più moderni apparati inquisitoriali. L’inquisitore non è interessato alla realtà intellettuale e non solo non l’accetta, perché gli ricorda ciò cui egli crede di avere dovuto rinunciare, ma rovescia su questa realtà il proprio spettro, quindi deve dimostrare che il male esiste, ma è al di fuori di sé, mentre egli rappresenta il bene, egli è l’angelo che porta la verità e la giustizia in un mondo corrotto e marcio. L’impalcatura è la stessa e si avvale di tutte le procedure che l’autore ha descritto nel suo libro e che troviamo anche in 1984 di Orwell: imposizione di una neolingua, fabbrica delle menzogne, rovesciamento del senso delle parole e torture per affermare la propria realtà pantoclastica e annientare l’imputato costringendolo al silenzio, se non alla morte civile. Con il pretesto di avere cacciato e bandito per sempre un diavolo dalla comunità.
Per invidia sociale sorge non solo l’odio di sé, ma anche e soprattutto l’idea del male dell’Altro: “Non è possibile che il tale abbia successo nella vita (e io no). Deve avere fatto qualche patto con il diavolo”. La caccia alle streghe prende avvio così: vengono chiamate streghe donne che avrebbero firmato un patto con il diavolo per permettersi cose che alla gente comune sono negate. Per esempio, nel Martello delle streghe degli inquisitori Heinrich Institor e Jakob Sprenger, come possiamo intendere dall’edizione curata da Armando Verdiglione con il sottotitolo La sessualità femminile nel transfert degli inquisitori (Marsilio, 1977, Spirali, 2003), le donne sono invidiate perché rappresenterebbero una sessualità anomala, che non risponde ai canoni dell’epoca.
Ma la caccia alle streghe può dirigersi anche verso coloro che, come gli imprenditori, vengono invidiati e presi di mira come se fossero predatori che traggono profitto illecito dal lavoro altrui, pertanto devono pagare dazio prima di trovare attenzione da parte delle istituzioni, devono esibire qualche forma di compensazione del male che sarebbe insito nella loro riuscita e nella loro anomalia rispetto al conformismo imperante. Chi non accetta la vita, con la sua particolarità, con la sua differenza, con la sua varietà e con la sua trasformazione incessante, chi non accetta la realtà intellettuale e ne ha invidia getta addosso all’Altro il proprio spettro e fabbrica le menzogne funzionali alla propria difesa rispetto al pericolo della differenza.
L’odio di sé dell’Occidente procede dall’ideologia dell’invidia sociale, che crede nella vita ideale, nell’utopia, anziché accettare la vita. L’idea di purezza, che Fertilio trova alla base di tutti i totalitarismi, punta il dito contro la corruzione e quindi diviene paladina della vendetta contro il presunto male dell’Altro, per poi incarnare il demone buono, l’angelo vendicatore che porterà la salvezza. Da qui nascono i totalitarismi. Lo illustra anche Giorgio Israel, nel suo libro Liberarsi dei demoni. Odio di sé, scientismo e relativismo: “I demoni sono il mito della palingenesi sociale e il mito della gestione scientifica dei processi sociali. Essi hanno alimentato le ideologie dei totalitarismi del secolo scorso, sono all’origine delle tragedie che hanno squassato l’Europa e l’hanno condotta verso un declino di cui è da temere l’irreversibilità. Tanto più il timore è fondato quanto più i demoni sono ancora vivi e vegeti e contagiano l’Occidente sotto la forma dell’ideologia del relativismo assoluto, di uno scientismo meccanicista che mina alle basi una visione umanistica della società e di un corrosivo ‘odio di sé’ [che] si manifesta in forme marcate nelle ideologie del post-comunismo e del pacifismo altero globalista e antioccidentale”.
Oltre all’ideologia dell’invidia, ciò che agisce come catalizzatore del totalitarismo è la paura dell’influenza, che può intervenire come paura dell’infezione virale, appunto, ma anche come paura del plagio, della contaminazione o della telepatia. Una paura che costruisce “macchine”, che dovrebbero imporre un’influenza positiva a quella negativa. Sarebbe interessante indagare in che modo, nelle differenti epoche e in vari periodi storici, sia possibile distinguere differenti forme di paura dell’influenza. Il nemico da sterminare è, di volta in volta, chi dà prova di riuscita, d’intraprendenza, d’intelligenza. Perché Hitler altrimenti avrebbe dovuto temere gli ebrei, se non per la loro influenza? E perché i comunisti avrebbe dovuto temere i capitalisti, così come l’islam dovrebbe temere gli infedeli? Pensiamo all’arretratezza in cui versano alcuni popoli sottomessi al credo di Allah: come può inventare, ingegnarsi e riuscire chi è costretto a leggere un solo libro nella sua vita e per giunta con la mediazione dell’Imam?
È essenziale ciò che Dario Fertilio precisa in un altro capitolo del libro, ovvero che i militanti di queste tremende orde che hanno sconquassato l’Europa non intendono che il segreto tanto celato dai propri leader è il nulla, in cui essi si dissolveranno come daímon al termine del proprio cammino: “Tutto, compresa l’esibizione di fede religiosa e la chiamata al martirio, è solo materiale di combustione, il cui sacrificio è indifferente al grande fuochista totalitario; egli non crede alla bontà e alla possibilità di realizzare i suoi stessi precetti. Questi ultimi gli servono soltanto a mobilitare gli animi e come trampolino verso il potere, e inoltre gli forniscono il collante necessario a rendere salda e duratura la sua costruzione. Il sancta sanctorum di questa religione è il controllo sociale, la presa sulla realtà, il mantenimento del potere più a lungo possibile. Intimamente, ogni capo totalitario dotato di intelligenza è ben conscio della fine inevitabile che lo aspetta al termine del cammino, ma non se ne cura perché gli interessa soltanto compierlo […]. Le élite totalitarie sanno che non è possibile né auspicabile rivelare al popolo la verità. Come potrebbe essere accettato da persone normali che ciò verso cui si tende è irrealizzabile e maschera l’abisso del nulla?”.
Ecco, allora, come l’odio di sé fa il gioco delle dittature che hanno invidia dell’Occidente.