LA PAROLA NOMADE E IL DISPOSITIVO DEL RITMO
A gli inizi degli anni settanta, il termine “dispositivo” entra nel dibattito filosofico e ideologico a proposito dell’incidenza del potere politico e economico nella società attraverso le strutture linguistiche e discorsive. Jean-François Lyotard, nella sua analisi dell’“economia libidinale”, basata su una concezione del sociale come molteplicità di flussi di energie e di forze pulsionali, introduceva la nozione di dispositivo pulsionale come macchina che “ordina l’orientamento dei flussi energetici sul campo di iscrizione del linguaggio”. Lyotard giungeva a cogliere una contrapposizione tra forze e flussi sistematizzati o codificati e forze e flussi sregolati, dispersi, come nel caso dell’arte, che sfuggono alla macchina del “Dispositivo Tecnico Globale” (DTG). Secondo Lyotard, questo DTG tende, in particolare nel campo artistico e educativo, a un’accumulazione programmata e codificata delle energie estetiche e sociali, a una loro finalizzazione economica e sociale.
In un’intervista apparsa nel 1977, Michel Foucault riprende la questione: “Per dispositivo intendo una specie, diciamo, di formazione che, in un dato momento storico, ha avuto [...] una funzione strategica dominante [...]: si tratta di una certa manipolazione di rapporti di forze, di un intervento razionale e concertato in questi rapporti di forze, sia per svilupparle in una tal certa direzione, sia per bloccarle, oppure per stabilizzarle, utilizzarle”. Già nel suo libro del 1973, Sorvegliare e punire, i dispositivi sono l’insieme di tecniche discorsive di governo per controllare e dirigere le condotte degli umani che con la borghesia illuministica s’incarnano in alcune strutture, come le scuole o le prigioni. In particolare, in questo libro, Foucault scriveva che la società sta diventando una società della pena, al punto che la stessa sorveglianza diventa la pena: una società sottoposta all’occhio, alla visione, all’osservanza, che ha come modello il Panopticon, il carcere circolare progettato dal filosofo Jeremy Bentham, in cui ciascun carcerato poteva essere costantemente osservato da un sorvegliante posto in una torretta al centro, senza che il detenuto potesse stabilire se fosse sorvegliato o meno.
Per Foucault questo dispositivo segregativo, dove la sorveglianza diviene pena, è il dispositivo modello della società penitenziaria borghese, in cui le istituzioni, l’ospedale, le imprese sono permeate dall’esigenza di osservanza e di punizione, una punizione attraverso il controllo dei presunti rapporti di forze, per una gestione di quel che disturba, le “masse proletarie”, i “diversi”, i “malati mentali”. Non a caso questo modello fu applicato, tra l’altro, nel Worchester Insane Asylum, nel Massachusetts, nell’ospedale psichiatrico di San Niccolò di Siena, nel carcere di Santo Stefano, vicino a Ventotene, e nella fabbrica gestita dallo stesso Bentham.
Nella nostra epoca, questi dispositivi segregativi sono stati aboliti? Con la globalizzazione e la laicizzazione non esistono più, come la classe operaia e la società borghese, come gli stati socialisti e i vecchi nazionalismi, la destra e la sinistra? Oggi la sicurezza è garantita, idealmente, dalla casta, dalla banda, dalla compagnia, dalla comunità, dalla burocrazia. La sicurezza sociale, la tutela della salute pubblica, le esigenze della comunità, il primato del bene comune: la casta mira all’abolizione del singolare, della proprietà, dell’impresa, del diritto civile e della ragione civile. Urkommunismus, scrive Armando Verdiglione. La massa si è singolarizzata, parcellizzata, frammentata: importa il singolarismo, ognuno è sottomesso in quanto inchiodato e incatenato nella sua precarietà, pronto a essere depredato, rieducato, punito. Anche ciascuna impresa, anche ciascuna associazione. Fine dei partiti, del parlamento, della politica: la comunità ha preso il posto della società, la burocrazia, penale e carceraria, ha sostituito il diritto. La società del penalpopulismo, in cui il giustizialismo raggiunge vertici prima inarrivabili, è la società come metastasi del tribunale politico e del carcere, non viceversa, come credeva Foucault.
Nel trionfo del tribunale penale e del carcere, del penalpopulismo di stato e di governo, ognuno, nel singolarismo, si fa tribunale e carcere. E (si) fa da sé, senza bisogno di dispositivi di parola, di maestri e di medici, di ricerca e di impresa, di finanza e di scienza: abolita, idealmente, la parola, ognuno scarica e si ricarica, si informa e si conforma nella rete. Non più navigante, ora ognuno è naufrago, aggrappato al suo relitto, precarizzato, nomadizzato: il migrante è lo specchio della deportazione di ognuno, per questo è intollerabile, e gli è precluso il porto. Nella sua precarietà, ognuno deve controllarsi, osservarsi, guardarsi, interrogarsi, preoccuparsi, curarsi, stare in pena, salvarsi: questi gli imperativi dei dispositivi sociali, corpoterapeutici e psicoterapeutici, conformisti e conformanti nell’era presente, nell’era in cui tutto deve essere presente e rappresentato, osservabile e controllato, misurato e corretto per lasciar credere all’idea di un potere invisibile, iniziatico, misterico, onnivedente e onnipotente, nel cui nome s’instaura il potere presente. “Allah osserva ogni cosa” (Sura XXXIII): allora tutto va osservato, dal protocollo ministeriale alle prescrizioni mediche, dalle regole sociali alla dieta alimentare. Ognuno, da sé, da solo, da salvo, deve fare la sua parte, nella parcellizzazione, mentre la casta assicura il suo bene come bene comune, la casta che è professionista dell’anticasta. “L’allarmismo è la candidatura della tirannide al governo del mondo e la giustificazione del becchino” (Armando Verdiglione).
L’osservanza è finalizzata alla prevenzione sociale, che diventa pena anticipata, forma generale di repressione e di salvezza. Il potere di sorveglianza è preventivo, produce sottomissione e conformismo. Penalpopulismo: ogni cosa è un possibile reato, tutto diventa penalizzabile. Scrive il procuratore capo Gian Carlo Caselli (marzo 2017): “È compito del magistrato darsi da fare per migliorare la realtà che sta dietro i reati, prevenirne altri”. E il presidente cinese Xi Jinping (ottobre 2017): “Abbiamo rafforzato su tutti i piani la direzione e l’edificazione del Partito per prevenire e correggere con grande fermezza ogni manifestazione di rilassamento e di lassismo nella gestione del Partito”.
La correzione preventiva è la pena anticipata che fonda il reato. Tutto è pena: la società della sorveglianza e della prevenzione è la società penale, trova nella pena la ragione stessa dell’esistenza. Gītagovinda: “Nell’acqua del sangue degli eroi tu lavi il mondo, rimosso il male e alleviata la pena dell’esistenza” (canto I, 10). La pena dell’esistenza giustifica la purificazione. Emil Cioran: “Non mi perdono di essere nato”. Dalla pena dell’esistenza all’essere in pena per la nascita: la pena dell’esistenza è l’esistenza come pena. Tolta la vita, ognuno sconta l’esistenza, che va purificata con l’obbligatorietà del trattamento sanitario, con l’obbligatorietà dell’azione penale e con l’obbligatorietà dell’azione penitenziaria. Questa la vita come pena, che poi diventa vita penale e vita penitenziaria: per la ca- sta sovrana occorre “marcire in carcere”, fino alla purificazione, allo svuotamento, alla trasparenza, al lavacro mistico e misterico del corpo e dell’anima. Fino alla salvezza, il colmo della sottomissione, la privazione della salute in nome della sa- lute pubblica.
In nome del popolo sovrano, con il penalpopulismo il carcere non può essere abolito, anzi va incrementato, perché è il modello del dispositivo sociale, dell’annientamento della parola fino alla confisca della vita, dei suoi mezzi e delle sue proprietà, che deve colpire, in nome del bene della comunità, ogni settore della vita civile, dalla famiglia all’impresa, dalla scienza alla finanza. Dispositivo senza la parola, il carcere: incenerimento e rigenerazione, il ciclo di ogni rinnovamento. “Il vuoto in politica non esiste”: ecco gli uomini forti per colmarlo, l’uno riempiendo le carceri, l’altro trasformando l’Europa nel suo territorio di caccia. “Il diritto non tollera zone franche”: ecco il libero convincimento del giudice per turare le falle, trasformando in illegittimo quel che non era regolamentato. Quel che il discorso politico chiama “vuoto” e che il potere giudiziario chiama “zona franca” è il terreno del diritto dell’Altro e della ragione dell’Altro, dunque il terreno inoccupabile della libertà della parola, con i suoi dispositivi liberi: dispositivi della parola, ovvero dispositivi civili, politici, di associazione e d’impresa, dunque liberi dispositivi di forza e di direzione, organizzativi e finanziari, gestionali e amministrativi, di battaglia e di cura. Di- spositivi sovrani, nazionali, industriali, dispositivi di salute e di valore.
Non c’è sovranismo populista, tanto meno penalpopulista. Il sovranismo esclude il penalismo e il populismo. Sovrana è la parola nel suo principio, la sovranità è virtù del principio della parola: per ciò sovrana l’idea che opera alla scrittura, sovrana la relazione, sovrana la dimensione, sovrana la condizione del viaggio, sovrana la funzione, sovrana la struttura. Sovrano ciascun elemento della parola.
Sovranità: nessun dire sul dire. Sovrana non è la volonté générale, né sovrano è il suo potere. Rifarsi al popolo sovrano è attribuire la sovranità al nulla, a un’ipo- stasi, a un concetto illuministico-romantico, pronto per ogni dittatura. Questo sovranismo contro la parola è la forma più attuale di antioccidentalismo, antieuro- peismo, antiebraismo, anticattolicesimo. Solo i dispositivi della parola sono sovrani, consentono la sovranità dell’impresa, della famiglia, della nazione. Questi dispositivi non sono sistemi, inclusivi o esclusivi, che assimilano, parificano, omologano gli elementi mirando al controllo e all’equilibrio: come il sistema sociale, compendiato dal sistema carcerario, che riceve la sua giustificazione dal sistema giudiziario. Né i dispositivi sono rapporti, volti a risolvere la differenza in diversità per gestirla nei ruoli maestro-discepolo, padroneschiavo, medico-paziente, come fossero coppie senza la parola, oscillanti tra conflitto e armonia, alla ricerca di un compromesso fantasmatico che consenta empatia e compassione, cioè mantenga il pathos, la pena dell’esistenza, la sofferenza redentiva.
Dipende dall’ideologia della redenzione l’immigrazionismo: l’occidente, l’ebraismo, la cristianità hanno peccato, devono redimersi, punirsi, prendersi la pena di promuovere lo svuotamento dell’Africa e l’invasione dell’Europa, una migrazione senza la parola, un viaggio circolare. L’immigrato è la vittima, dunque il redentore: per il suo viaggio occorre approntare dispositivi di inclusione o di respingimento: in entrambi i casi opera- zioni di sciacallaggio, cioè utili alle caste e alle bande per trarre profitto elettorale dallo sfruttamento economico e mediatico del naufrago. In entrambi i casi, il migrante, accolto o respinto, diventa ri- generatore sociale.
Il dispositivo della parola è il dispositivo del viaggio che procede dall’apertura, non dal sistema che include o respinge. Dicendo e facendo, ricercando e intraprendendo, ciascuno è in viaggio, con i propri mezzi, con le sue proprietà linguistiche e intellettuali. Nulla è fer- mo e immobile, nessuna identità o ruolo sociale, parlando. La strada è propria del gerundio, la strada della parola. Parlando, ciascuno non può evitare il nomadismo, il viaggio in quanto intellettuale, la navigazione, l’infinito dell’itinerario. Nomadismo della ricerca e dell’impresa. Il gerundio è la migrazione senza più vittima, è il nomadismo della parola in- situabile, impadroneggiabile, dissidente. Cercando, facendo, vivendo: il dispositivo, il compito, la missione senza più pena.
Non c’è più Dispositivo Tecnico Globale. I dispositivi della parola investono il progetto e il programma, e l’intero processo dell’esperienza in ciascuna sua fase, in ciascun settore, seguendo il ritmo. Quintiliano, maestro di retorica, traduce con dispositio il greco rythmos. Il dispositivo non è un contenitore, non è la prigione. Ciascuno diviene dispositivo del ritmo, che è costituito dall’itinerario. Nell’azienda, nell’università, nell’ospe- dale il ritmo non s’impianta automati- camente, esige i dispositivi della parola. Parlando, il ritmo della ricerca e il ritmo del fare, il ritmo del viaggio in direzione della qualità.