UNO SCENARIO SENZA GIUSTIFICAZIONI PER L’IMPRESA

La mitologia corrente propone che nelle aziende ogni collaboratore debba essere motivato, altrimenti “non rende e si lascia andare, cede, si fa inerte”. Per questo sono sorti i “motivatori”, senza cui ognuno si perderebbe, non troverebbe il motivo per fare. È questo un modo di negare il dispositivo, a favore della fabbricazione di soggetti. Il motivo, invece, è un’esca del dispositivo, che si combina con il progetto e il programma dell’azienda e di ciascuno. E si avvale della narrazione del progetto e del programma.
Non si possono trascurare le condizioni di ciascun dispositivo, cioè le norme, le regole e i motivi, i termini con cui si annunciano e si assegnano i compiti per ciascuno nei modi del coordinamento e dell’organizzazione delle mansioni. Per esempio, le ore di lavoro e la retribuzione stanno fra le norme; l’orario, i turni e le mansioni stanno fra le regole; la sede, come e con chi fare alcune cose, l’assegnazione dei compiti e dove svolgerli sta fra i motivi. E, per questo, alcune cose si assegnano a qualcuno in particolare e non a qualcun altro. Chi si trova nello statuto di direzione non può ignorare quali siano le condizioni, per ciascuno.
È tra i suoi compiti non ignorare questo. Ciò implica l’interlocuzione costante, che va modulata in modo opportuno con i collaboratori e con chi lavora nell’azienda a vario titolo. Nessuno deve avere la sensazione di essere ignorato o autonomo, abbandonato o privilegiato, avversato o favorito, escluso o preferito. Anche per questo, si pone per il dispositivo di direzione la questione della clinica, ossia della cura aziendale, caso per caso.
Tra parentesi, anche nella medicina, la clinica indica la piega che prende il fare con il tempo nello specifico del caso. È un modo differente dalla patologia generale, medica o chirurgica, che prende in considerazione le malattie nella loro genericità.
La clinica come piega mette in luce la differenza e la varietà specifiche del caso, è il registro in cui ciò che accade non va ascritto né al normale né al patologico; è il registro in cui il disturbo non va espunto, ma ascoltato in quanto indice di ciò che va in direzione del valore. La clinica è compimento di ciò che si scrive ed esige l’ascolto. Con la clinica, con la sua lingua, il dispositivo aziendale, in quanto dispositivo di parola, sfocia nell’efficacia. Per il dirigente, lo statuto clinico è una necessità intellettuale.
La narrazione della ricerca e dell’impresa nei dispositivi dell’azienda trae allo scenario della combinazione dei vari percorsi aziendali. Accogliere lo scenario, accogliere gli elementi di valore che emergono dalla narrazione dissipa la necessità di ogni giustificazione rispetto a ciò che occorre fare.
Quel che accade, quel che si dice, quel che si fa non necessita di giustificazione.
Esige di cogliere, capire e intendere i suoi indici. Così, chi sta nella funzione direttiva non ha da giustificare l’operato.
E non si appella alle giustificazioni.
Il processo chiamato giustificazione è un processo religioso, che avrebbe il compito di scaricare il sentimento di coscienza dalla tensione pulsionale, convertita in termini morali in senso di pena e in senso di colpa. La direzione è pulsionale, tensionale, come pure la sua narrazione. Credere di potere o dovere scaricare la tensione varrebbe a ammettere la possibilità o la necessità di rimanere inerti, come alternativa alla direzione. È un espediente per giustificare l’indifferenza per la vita.
L’ideale termodinamico è quello di potere scaricare la tensione in eccesso e di potere, poi, eventualmente, ricaricarsi, quando serve. Questa è la mitologia dell’elettrodomestico, del robot che, una volta scaricato, viene messo in carica. Un processo a batteria. Nella vita, nella parola, la tensione è la domanda che si dirige alla sua qualità, la tensione è sovrabbondante, debordante; sempre in eccesso rispetto all’ideale economico, che punta al risparmio.
Risparmio energetico, risparmio delle risorse, risparmio delle forze, risparmio dello sforzo, risparmio di ciò che non è giustificato. In questo particolare frangente storico, l’apologia del risparmio è chiamata “sostenibilità”. Ogni azione, ogni gesto, ogni investimento dev’essere giustificato, ossia sostenibile, deve dare resto zero. Questo è il processo equazionario, processo per equazione, in cui l’investimento deve essere modulato sul risultato da ottenere e deve dare un certo risultato, per essere giustificato, per essere attuato.
Su questo si basa la ricerca preventiva del rapporto costi/benefici. Si è avuto modo recentemente di constatare come la politica che si basa sul calcolo di questo rapporto preventivo, ossia sul principio equazionario, porti inevitabilmente alla paralisi, all’immobilismo.
È inevitabile quando l’investimento è commisurato al risultato calcolato su base equazionaria, cioè è senza l’Altro.
Se dall’investimento è tolto l’Altro, allora, diventa spesa e rientra nel canone della partita doppia. E ognuno può credere di potere scegliere se fare o non fare rispetto alla convenienza calcolata. Ma l’Altro è imprevedibile e irrappresentabile, esige l’azzardo e il rischio: rischio d’impresa, rischio di riuscita, rischio di verità. L’Altro interviene come errore di calcolo. L’investimento non risponde quindi a un calcolo algebrico o geometrico, dove il tempo finisce, ma al calcolo che riguarda la direzione dell’impresa.
Il calcolo imprenditoriale non è vincolato all’idea di fine del tempo. Lo scenario dell’investimento e la sua narrazione non possono basarsi sulla rappresentazione algebrica o geometrica del tempo che finisce e sulla sua conseguenza, cioè l’economia della morte con il risparmio di ogni elemento che intervenga nel dispositivo.
Sarebbe la dissipazione del dispositivo e la costituzione di un sistema a termine, dove il tempo diventa la variabile della durata.
Il capitale intellettuale dell’azienda è il capitale intellettuale della vita, non è ciò di cui si dispone, ma l’estremo prodotto cui si approda lungo un itinerario di qualità.